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Elogio dello stupore

Elogio dello stupore

di Marta De Toni

La sorpresa che mi colse alla lettura di questo dato e dall’improvvisa presa di coscienza che le specie animali costituiscono una parte minima e insignificante della vita terrestre fu in breve sostituito dallo stupore cagionato dal fatto di non essermene mai resa conto prima! Mi sembrò pazzesco, ma difronte a quel numero mi sentii improvvisamente smarrita: avevo vissuto, volendo essere ottimisti, all’incirca metà della mia vita senza aver mai realizzato questa per me sconcertante realtà, come avevo potuto essere così cieca?

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Mi venne in aiuto la scienza spiegandomi che la motivazione che sta alla base di quella che potrebbe sembrare semplicemente poca attenzione è chiamata Plant Blindness, cioè, per spiegarla con parole semplici, noi non vediamo le piante. Ecco, mi sentivo già meglio. Ma in che senso non “vediamo le piante”, io le piante le vedo eccome! Cos’è esattamente questo “difetto visivo funzionale”?

Il termine fu coniato nel 1998 da due studiosi americani come il risultato di anni di ricerche.  A primo acchito la causa potrebbe sembrare la visione antropocentrica del pianeta, codificata dall’enorme ego dell’essere umano, ma la realtà è che noi, esseri dotati di intelligenza (e ritorneremo su questo argomento), non siamo in grado di vedere coscientemente più di 16 bits al secondo e che il nostro cervello scarta dalla codifica le forme di vita vegetali, a prescindere, perché prive di “connotazione pericolosa o necessaria alla sopravvivenza”.

In realtà queste ulteriori informazioni non potevano che accrescere il mio senso di sgomento nel realizzare la nostra totale inconsapevolezza del fatto che l’unico motivo per cui la vita sulla Terra è ancora possibile è proprio nascosto, e neanche tanto, in quel 99.9 per cento. Prima di entrare nel vivo della questione, vorrei provare a riassumere le motivazioni per cui ritenere le piante non necessarie alla sopravvivenza sia un punto di partenza assurdo: 

  • CIBO: Tutto quello che mangiamo è un vegetale o si è cibato di vegetali per diventare quello che è
  • ARIA: Producono l’ossigeno
  • ENERGIA: Gran parte dell’energia che utilizziamo è di origine vegetale, e non parliamo solo del legno, ma in pratica i combustibili fossili non sono altro che l’accumulo sotterraneo dell’energia solare fissato nella biosfera dagli organismi vegetali tramite la fotosintesi
  • MEDICINE: tutta la nostra farmacopea è ottenuta da molecole prodotte dalle piante o sintetizzate dall’uomo copiandole dal mondo vegetale
  • BENESSERE PSICOFISICO: numerosi studi lo hanno ormai dimostrato tanto da rendere indispensabile la loro presenza anche nelle missioni spaziali a lunga percorrenza e non solo per motivi alimentari
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Eppure nonostante tutto questo il nostro cervello continua a non processarle. Capite anche voi che, nell’approcciarmi allo scrivere un libro che parlasse di piante e più specificatamente delle loro radici, mi resi subito conto di un’altra realtà a questo punto oggettiva: se non siamo in grado di vedere la parte visibile in maniera consapevole, quanto possiamo avere idea di ciò che accade nella sua parte a noi nascosta? Fu proprio a seguito di queste riflessione e in relazione ai miei primi studi sulle viti e sul loro apparato radicale che mi accorsi che mai frase poteva essere più azzeccata.

“L’essenziale è invisibile agli occhi”

e visto che l’oggetto delle nostre ricerche riguarda la natura delle radici, è su queste che vogliamo concentrare la nostra attenzione iniziando a scoprire le funzioni e l’importanza della salute di questi fondamentali apparati.

Le funzioni delle radici

Alcune sono abbastanza intuitive, come l’ancoraggio e l’assorbimento delle sostanze nutritive e dell’acqua, ma ci stupirà scoprire che hanno ben altri ruoli nella vita della pianta. Tanto per iniziare sono le radici ad essere maggiormente responsabili della capacità della vite di resistere agli stress e assolvono a questo vitale compito inviando dei messaggi alla parte aerea, un po’ come il nostro cervello fa con i distretti periferici del nostro corpo. Ovviamente si tratta di una metafora, tipica dell’essere umano che deve poter rapportare a sé stesso ogni cosa per poterla comprendere appieno, ma proprio per questo rende bene l’idea di come siano le radici a codificare le informazioni provenienti dall’ambiente esterno e ad inviarne poi delle altre sotto forma di elementi chimici, gli ormoni, che regolano il modo, la direzione e la velocità di crescita della pianta stessa. Nel corso dei secoli le radici si sono evolute e specializzate per far fronte a tutte le forme di stress alle quali potevano essere sottoposte le piante.

Le radici sono in grado di espandersi e rinnovarsi, integrandosi con il suolo al quale si sono nel tempo adattate, se ben propagate possono raggiungere anche i 200m/ e questa condizione pone la pianta in uno stato di equilibrio e migliora la sua capacità di  resistere agli stress; con il tempo sviluppa un rapporto simbiotico con l’ambiente sotterraneo di cui fa parte. La continua degradazione delle radici più sottili e il loro continuo rigenerarsi forniscono al terreno una quantità di materiale organico che può raggiungere le 8 tonnellate per ettaro/anno. Tale simbiosi riguarda anche le altre forme di vita con le quali instaura un rapporto di reciprocità come nel caso delle micorizze, particolare famiglia di funghi che migliora la capacità di assorbimento delle radici stesse. 

Un’altra funzione non propriamente evidente è quella di fungere da magazzino per tutte quelle sostanze che serviranno alla pianta selezionando quando rilasciarle. Sarà nel periodo che precede la fase di riposo invernale che si adopereranno per ricercare e stoccare i nutrienti che al risveglio primaverile saranno necessari per avviare un nuovo ciclo vegetativo partendo dal germogliamento. 

Ma proviamo ad indagare andando ancora più affondo. Charles Darwin, straordinario botanico, riconosceva alle radici una capacità decisionale. Un’altra affermazione degna di suscitare il mio stupore: le radici sono in grado di prendere decisioni? Per chiarire questo interessante quesito proviamo a metterci nei panni di una delle migliaia di radici di una pianta. 

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Vi trovate sotto terra al buio e dovete provvedere alle molteplici esigenze dell’organismo vegetale di cui fate parte. Ossigeno, acqua, sali minerali e nutrienti si trovano sparpagliati attorno a voi e a diverse distanze, che fate? In che direzione decidete di svilupparvi? Verso quale elemento visto che sono tutti indispensabili? A quale rinunciare in favore di un altro? E se poi incontrate un parassita, un’altra pianta dalla quale dovete difendervi? Dove investire la vostra energia? E poi come evitare che le radici si orientino tutte verso lo stesso punto alla ricerca dello stesso elemento? La risposta è nell’apice che altro non è che un centro di elaborazione dati in rete con milioni di molti altri, praticamente un computer con una struttura modulare

Immagino che siate stupiti anche voi quanto lo sono stata io nel rendermi conto di quanto tutto questo avesse senso e di quanto blindati fossero in miei occhi. Ma non finisce qui. A questo punto dei miei studi, seppur ancora poco approfonditi, fui colta da altro stupore nel realizzare che a causa della Fillossera, di cui parleremo approfonditamente più avanti, eravamo stati costretti a sostituire impianti radicali con secoli di evoluzione e adattamento sulle spalle, oltre che simbioticamente rapportati con il loro ambiente di appartenenza. Avevamo riportato al punto di partenza la relazione radici-suolo e questo non poteva essere in alcun modo considerato un fatto trascurabile.

Per capire pienamente l’entità del cambiamento dobbiamo innanzitutto prendere in esame la sostanziale differenza tra una vite franca di piede e una innestata. Riportiamo in tal senso quelle che sono le conclusioni di un ingegnere agricolo francese della portata di Cloude Bourguignon uno dei massimi esperti di microbiologia del suolo e grande promotore del piede franco (aziende come Romanee Conti si avvalgono della sua competenza). Secondo Bourguignon “i vini hanno perduto una parte della loro identità infatti i portainnesti operano come un filtro tra suolo e l’uva”, inoltre “le barbatelle sviluppano una struttura radicale molto superficiale”, altro aspetto messo in risalto dallo studioso è la forte vigoria espressa dalle piante innestate con grande produzione di vegetazione e frutto.

Philippe Charlopin, viticoltore a Gevrey Chambertin, racconta la sua esperienza: “le vigne sviluppano molte più radici che vanno in profondità e fanno degli acini e dei grappoli molto piccoli. Si ottiene un migliore equilibrio dell’uva. Basta masticare un acino prima della vendemmia per capire a differenza.”

Esperienze simili vengono riportate da molti dei viticoltori nel corso della ricerca operata per la stesura di questo libro. Sostanzialmente sono tutti concordi che le piante a piede franco abbiano una marcia in più e caratteristiche più marcate e identitarie.

Ciò che ritroviamo nelle loro testimonianze, raccolte in diversi areali della nostra penisola, è una sostanziale differenza di propagazione delle radici nel suolo, aspetto che abbiamo già capito essere di fondamentale importanza, una maggior maturità e sensibilità, un adattamento alle caratteristiche geologiche dei suoli nei quali queste piante si sono evolute nei secoli. La spinta vegetale, caratteristica dei portainnesti, messa in risalto da Bourguignon è un altro aspetto che ci indica che quello che andremo ad ottenere sarà una pianta con meno equilibrio. La spinta di vigoria si manifesta soprattutto nei primi anni di vita della pianta che sono proprio gli anni in cui si sviluppa maggiormente anche l’impianto radicale.

Provate a pensare a dare una risposta a questa domanda:
come è possibile che in 150 anni dalla sua comparsa in Europa non si sia cercata una soluzione diversa da quella della pratica dell’innesto?

De Toni Marta · Cod. Fisc. DTNMRT79C51L157Y
Via Madonna delle grazie, 8 | 36015 Schio (VI) Italy

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